Riflessioni
Le sedie sul balcone, il tavolo nel mezzo, quel fiore finto che fa capolino. La luce di un mattino in cui mi arrogo il diritto di restare a dormire. Ognuno è le scelte che fa...
Un caffè, un altro, un altro ancora. Si respira sonno e polline, sottopassaggi, sopravvalutazione...
La crisi... la crisi ne uccide un sacco... le aziende tassate al 68,6% e chi ci governa mangia coi nostri soldi, si cura coi nostri soldi, fa le vacanze coi nostri soldi, 'ché noi mangiare non mangiamo, curarci non ci curiamo, e vacanze non ne facciamo. E tutti a puntare il dito contro questa gente che specula e imbroglia, ma la cosa più divertente delle critiche mosse ai politici è che i loro accusatori si comporterebbero alla stessa maniera. Sicché un italiano, uno qualunque al quale sia rimasta un minimo di capacità critica e di osservazione che vada oltre il becero qualunquismo da tubo catodico, comincia a chiedersi se la vera crisi non sia un’altra, tutt’altro che economica, ben più radicata e subdola, ben più dissimulata e insabbiata, così profonda da essere ormai inconscia. Ma poi scatta il numero sul display e bisogna andare allo sportello tre a pagare un’altra bolletta...
Ho una memoria beffarda. Dimentico le cose grandi ed importanti, ma i dettagli, quelli piccoli, quelli trascurabili, quelli che ‘ma figurati’, quelli sufficientemente innocui da fotterti, quelli no. Mai.
Adoro guidare per ore perché è l’unico momento in cui sono veramente da solo con me stesso. Sembra che le lamiere siano l’unico materiale isolante per i miei pensieri, sicché li lascio fluttuare liberi intorno ai miei capelli, convinto che tanto lontano non potranno andare, e li tengo al guinzaglio con una canzone.
Da piccolo mi piacevano i cruciverba, quelli che faceva papà. Erano incastri di parole senza alcun legame, ma lasciarli incompleti mi dava un senso di irrisolto. Non dovevo mai lasciarli in sospeso e, a volte, a costo di chiuderli, annerivo qualche casella in più, per non lasciare spazio.
Il mio nome, quello vero e senza storia, penzola docile dal manico di una valigia...
Il dottor Paolo Baiocchi, direttore dell’istituto Gestalt di Trieste, nello studio dell’elaborazione del lutto sostiene fermamente che, immediatamente dopo il decesso di qualcuno a noi caro, la seconda situazione di perdita più dannosa è la separazione da un partner. La persona lasciata o tradita subisce un trauma di entità variabile in base all’attaccamento e alla maturità psichica, ma assolutamente equiparabile a quello provocato da una morte.
Pensare di conoscere una persona è come credere che il mare finisca all’orizzonte.
Questo è un elemento tipico della narrativa psicologica, che spesso presenta personaggi con caratteristiche particolari o problematiche della mente o dell’anima.
Questo è un elemento tipico della narrativa romantica, che spesso presenta personaggi innamorati o coinvolti in relazioni sentimentali.
Questo è un elemento tipico della narrativa tragica, che spesso presenta personaggi destinati a una fine infelice o dolorosa
Questo racconto racchiude una riflessione esistenziale potente, avvolta in una scrittura densa e suggestiva. È un viaggio tra pensieri sospesi, osservazioni quotidiane e una consapevolezza amara della realtà sociale e personale. Si apre con immagini intime e apparentemente semplici—sedie sul balcone, caffè, luce mattutina—ma subito si intreccia a temi più profondi: la crisi economica, l’ipocrisia politica, la delusione collettiva. È come se il protagonista si muovesse in un limbo tra il vivere e il sopravvivere, tra la consapevolezza lucida e la resa ai meccanismi di una società che consuma senza restituire. La memoria è descritta come beffarda, selettiva, capace di dimenticare le cose grandi ma di custodire i dettagli con ostinazione. Questo rende il racconto ancora più umano, perché è proprio nei particolari insignificanti che spesso risiede la nostalgia più crudele. Il viaggio in macchina diventa un rifugio, l’unico spazio di vera solitudine, un momento in cui i pensieri fluttuano liberi senza bisogno di una destinazione. La metafora del cruciverba incompleto richiama l’esigenza di chiudere le cose, di non lasciare nulla in sospeso, anche se ciò significa annerire più caselle del necessario. Infine, la riflessione sul lutto emotivo e sul senso di perdita equiparabile a una morte sottolinea la profondità di un dolore silenzioso ma totalizzante. Pensare di conoscere qualcuno è come illudersi di capire l’infinito: l’orizzonte sembra un confine, ma è solo una distanza illusoria.
L.A.M.