Le lacrime scendono e sono parole. Le lacrime sono sempre parole e chi ti ama sa tradurle e indovinare quando piangi, per venire a dirti di farlo finché ne hai bisogno. Scendono con naturalezza, come se piangere fosse la cosa più inevitabile del mondo, una sorta di parto necessario.
Dicono che il dolore sul lungo periodo serva a qualcosa. Io faccio parte di quella categoria di persone che se potesse lo cancellerebbe, come cancellerei i ricordi, anche quelli meravigliosi, pur di avere un po' di spazio nella mia vita, ché adesso tutto è occupato e io non ho spazio per muovermi, né per respirare.
Le membra pesanti, lo stomaco in fiamme, la testa che scoppia, ogni gesto risulta faticoso come una scalata e me ne rendo conto all'ora di pranzo, di cena, di pranzo, di cena... alcuni gesti considerati normalmente necessari diventano superflui, eliminabili, addirittura fastidiosi. E allora si saltano, perché la conservazione del tempo diventa vitale, perché quando si piange si cerca di farlo il più possibile in modo da consumarsi completamente, noi e le lacrime, e in fretta, fino a scomparire.
Ma le mie lacrime sono inesauribili.
Ho conosciuto una persona, una volta, che piangeva senza lacrime. Sono stato anni col dubbio che quelli non fossero veri pianti. Solo adesso capisco che forse avevo ragione.
Soffrire mi porta a diventare più presuntuoso di quanto non sia già. Soffrire così mi dà l'automatica certezza che il mio dolore sia il più forte che esista. In questo momento sento di soffrire come nessuno sulla Terra e mi faccio forte di questo primato, ché almeno sono primo in classifica da qualche parte.
Nessuno soffre tanto e bene come me, nessuno riesce a farsi annientare come ci riesco io. La purezza del mio dolore mi permette di guardarci attraverso e di lasciar cadere tutto ciò che ho intorno in modo da sfracellarlo.
Il dolore senza autodistruzione non è niente.
E io sono il primo.
Il primo della classe
In breve:
Questo è un elemento tipico della narrativa psicologica, che spesso presenta personaggi con caratteristiche particolari o problematiche della mente o dell’anima.
Questo è un elemento tipico della narrativa romantica, che spesso presenta personaggi innamorati o coinvolti in relazioni sentimentali.
Questo è un elemento tipico della narrativa tragica, che spesso presenta personaggi destinati a una fine infelice o dolorosa.
Questa riflessione è un viaggio crudo e poetico nel cuore del dolore, un monologo interiore che si snoda tra lacrime e pensieri taglienti. L’autore trasforma il pianto in linguaggio, le emozioni in carne viva, e il dolore in una sorta di medaglia nera da esibire con orgoglio. Il testo è intriso di una malinconia lucida, che non cerca consolazione ma rivendica il diritto di soffrire, di essere consumato dal dolore fino all’annientamento.
Punti di forza:
Linguaggio evocativo: le immagini sono potenti e viscerali — “le membra pesanti”, “lo stomaco in fiamme”, “la testa che scoppia” — e rendono tangibile il peso della sofferenza.
Onestà brutale: non c’è filtro né pietà, solo la nuda verità di chi vive il dolore come condizione esistenziale.
Riflessione profonda: il testo tocca temi universali come la memoria, la solitudine, il bisogno di spazio interiore, e la presunzione che nasce dalla sofferenza estrema.
Nota critica: La narrazione rischia di romanticizzare l’autodistruzione, elevandola a forma di purezza. È una riflessione potente, ma anche pericolosa se letta senza il giusto distacco. Il dolore qui non è solo vissuto: è idolatrato, reso misura di valore personale.
In sintesi, è una confessione intensa e disturbante, che lascia il lettore con il fiato corto e la mente piena di domande. Non cerca empatia, ma riconoscimento. E lo ottiene, con forza devastante.
Le lacrime scendono, parole mute che solo chi ama sa leggere.
Scivolano come verità inevitabili, parti silenziosi di un’anima che si frantuma.
Dicono che il dolore insegni, ma io lo cancellerei, come si cancellano i ricordi, anche quelli belli, pur di avere spazio per respirare.
Le membra sono pietre, lo stomaco un incendio, la testa un tamburo che esplode.
Ogni gesto è una scalata, ogni pasto un ostacolo da evitare.
Piangere diventa mestiere, consumarsi diventa urgenza.
Scomparire, rapidamente, insieme alle lacrime.
Ma le mie non finiscono mai.
Ho visto pianti senza lacrime, e ho dubitato. Ora so: erano solo ombre.
Soffrire mi rende arrogante, mi convince che il mio dolore è il più puro, il più forte, il più vero.
Sono primo in classifica, campione di annientamento.
Nessuno soffre come me, nessuno si distrugge con tanta grazia.
Il dolore, senza autodistruzione, non è niente.
E io sono il primo. Il primo della classe.
L.A.M.