Racconti

"Stanco di vedere le parole che muoiono, stanco di vedere che le cose non cambiano, stanco di dover restare all’erta, ancora, e respirare l’aria come una lama alla gola. Andare a piedi fino a dove non senti dolore solo per capire se sai ancora camminare. Il mondo è un corpo coperto di lividi, ma i miei pensieri sono sempre più vividi. Ovunque corpi sulla strada che si lasciano affittare, tavole anatomiche da saccheggiare. Corpo imperfetto, corpo immortale (Il corpo è la frontiera che si può violare). La vita, troppo spesso, è una discarica di sogni e sembra un film dove tutto è deciso sotto ad un cielo di un grigio infinito. Sono le gambe piene di lividi, sono pensieri sempre più ruvidi…"

"...la vita è scritta sopra un cumulo di sogni".

"Quella sera"

-Racconto illustrato-

(con A.I. e tecnologie chatGPT4 DALL-E)

Quella sera guardavamo il cielo diventare qualcos'altro e confondersi col riflesso della finestra. Non c'erano rumori o musiche o respiri, c'era un colore arancione e una trapunta che si arrotolava sui discorsi taciuti.. si aggrovigliava su quell'idea fissa e non riuscivamo a coprirci e a riscaldarci.. ti sei alzata e hai aperto un'anta dell'armadio.. nello specchio ti guardavo gli occhi e mi sembrava di spiarti solo perché eri di spalle... eppure ci stavamo fissando... arancioni e silenziosi e il tuo pigiama rosso era tenero... e lo erano i tuoi calzini di lana a righe e i capelli arruffati di chi ha smesso di preoccuparsi... di chi non ha interesse a rimanere… chiudesti l'anta dell'armadio e con lei i colori della stanza... non ricordo nulla di te che non sia un film in bianco e nero.

C'era ancora quel buco sul sedile.. di quando mentre mi spingevi mi cadde la sigaretta e per ritrovarla dovemmo seguire l'odore di bruciato... e bruciava tutto in uno spreco colossale... bruciava la mia testa mentre la tua era calata a misurare il danno e l'odore della tua pelle si arrampicava sui pensieri che non dovevo più avere... e mentre impazzivo fra tabacco, fumo e ricordi presenti muschiati e i balsami che non servivano più a placare i dolori, mentre tutto intorno si addensava e pizzicava il naso, tu scendesti dalla macchina e io affondai nella cenere… e chi può dire se ci sia un’altra vita oppure no.

... e mi sarei appoggiato nelle pieghe della pelle... nei tuoi luoghi morbidi… nelle tue gambe di pensieri intrecciati in bilico sulla poltrona... mentre con la mano accarezzavi il bracciolo e con lo sguardo toccavi le parole e le affilavi in una ragione inattaccabile e me la lanciavi contro... non so quante volte mi hai centrato, ma qualcosa di inevitabile cominciava a colarmi dagli occhi e le mie mani bagnate non le avresti più baciate… non ti saresti più rinchiusa al caldo e io non avrei mai più accostato i miei fianchi ai tuoi per sentire la mia carne liquefarsi e disperdersi nel letto... saresti stata d'ora in poi una scheggia ghiacciata a viaggiare sottopelle... già rabbrividivo e tu diventavi isoscele... dura... e bucavi la poltrona…

Ferma, immobile, piena e invitante continuavi a fissare il pavimento... non c'era un modo di sospendere il momento... tutto sarebbe marcito e ammuffito e ciò che avrei disperatamente masticato e metabolizzato e fatto mio sarebbe diventato un amalgama dal gusto scuro che brucia la gola... i miei caffè dalle tue mani e le tue sigarette sui pomeriggi ad assaggiare le tue assenze e i tuoi ritorni... non avrebbero avuto lo stesso sapore... tu non lievitavi più sorrisi e io bloccavo un nodo spinato in gola... dovrò nutrirmi da solo...

la seta grigia del silenzio frusciava nell'aria... un sibilo rapido mi trapassò la testa... dov'era la tua musica? Sulle scale adesso... in dissolvenza rapida... ti ascoltavo in un eco e mi rimbombi ancora fra le costole...

In breve

"Gli amanti"

-Racconto illustrato-

(con A.I. e tecnologie chatGPT4 DALL-E)

Quello che sto per affrontare è un argomento particolare, che può offendere la morale di qualcuno, eppure... tratta di un qualcosa universalmente temuto, ma universalmente praticato; praticamente le sue origini stanno tanto alla notte dei tempi come alla nascita del matrimonio. Ma avanziamo per piccoli passi: stiamo per addentrarci in uno dei lati più oscuri della nostra mente, dobbiamo muoverci con cautela. Per ora vi basti sapere che i testi sono stati elaborati da Emma Scinica, provengono dalle pagine del suo blog "Aura Sonora" e sono le righe che hanno ispirato la nascita di "OltreAmare" by Livio Amato Music. Buon sogno interiore!

-Prefazione-

“C’è un solo tipo di trasgressione che può privare una coppia della propria relazione, della felicità e dell’identità: un’avventura. L’adulterio esiste da che è stato inventato il matrimonio, ed anche il tabù che lo riguarda. Infatti, l’infedeltà ha una tenacia che il matrimonio le può soltanto invidiare, al punto che questo è l’unico comandamento che viene ripetuto due volte nella Bibbia: una volta per l’azione e una volta per l’intenzione. Così, come conciliamo ciò che è universalmente proibito e tuttavia universalmente praticato? Questa è una definizione che mi piace di cosa sia un’avventura, riunisce tre elementi chiave: una relazione segreta, che è l’essenza di un’avventura; un legame in varia misura emotivo; e un’alchimia sessuale. Qui la parola chiave è alchimia, perché il brivido erotico è tale che il bacio che stai soltanto immaginando di dare può essere forte e seducente come ore e ore passate a fare l’amore. Come disse Marcel Proust, è la nostra immaginazione la causa dell’amore, non l’altra persona. Quando cerchiamo lo sguardo di un altro non è sempre al nostro partner che voltiamo le spalle, ma alla persona che siamo diventati. Non stiamo cercando tanto un’altra persona, quanto stiamo cercando un altro noi stessi. Contrariamente a quanto si possa pensare, le avventure hanno poco a che fare con il sesso e molto di più con il desiderio: desiderio di attenzione, desiderio di sentirsi speciali, desiderio di sentirsi importanti. La struttura precisa di un’avventura, il fatto che non potrete mai avere il vostro amante, vi porta a volerlo. È di per sé stesso una macchina del desiderio, perché l’incompletezza, l’ambiguità, ti fanno volere quello che non puoi avere. Come si guarisce da un’avventura? Il desiderio è profondo. Il tradimento è profondo. Ma può essere curato. Alcune storie sono le campane a morto per relazioni che stanno già avvizzendo. Ma altre ci daranno la scossa per nuove possibilità. Il fatto è che la maggior parte delle coppie che hanno provato il tradimento, restano insieme. Ma alcune di queste si limiteranno a sopravvivere, mentre altre saranno davvero in grado di trasformare la crisi in un’opportunità. Saranno in grado di trasformarla in una esperienza di crescita."

"L'amore tra amanti, in quanto segreto, limitato e segregato, si usa considerarlo "amore sfortunato", ma ... non credo sia la giusta etichetta da affibbiargli. Un amore tra amanti vuol dire stanze di alberghi, baci tra le ombre della sera, sesso truffaldino improvvisato dentro all'auto, ma anche sensazione unica ed inequivocabile, difficile da descrivere perché deve restare imprigionata nella mente e dentro al cuore, troppo piccolo per contenere la fierezza di appartenersi, anche se in maniera tanto incompleta e limitata. Sono loro, in fondo, i veri protagonisti vincitori dell'amore, perché sanno essere eroi del loro stesso destino senza pubblicizzarlo; senza doverlo vivere alla luce del sole o dimostrarlo al mondo; lo vivono solitari, ma con tutto sé stessi. Sono loro che continueranno a trainare le narrazioni di mille canzoni, che dell'amore racconteranno il lato più oscuro, il più dissacrante ed imputabile, ma ... forse, anche più vero, fantasioso e spontaneo, perché è il lato dell'amore più difficile,  quello che si vive a piccoli spezzoni,  a puntate irregolari,  a brevi sorsi. Ed è in quegli appuntamenti rubati all'ordinarietà che i protagonisti si sentono in dovere di offrirsi all'altro completamente, per dimostrare il senso assoluto che nutrono per l'altro, che li lega indissolubilmente. Ogni istante vissuto assieme viene assorbito dentro come un miracolo; una medicina con la quale combattere i desolanti silenzi, che condiscono di precarietà la storia d'amore, ricca di gioie e fantasia,  ma anche di tante assenze insostenibili ... impossibili da colmare con qualsiasi rumore, perché gli amanti resteranno per sempre, agli occhi del mondo, silenziosi, segreti e furtivi innamorati temerari dell'amore incompleto".

Il racconto

Osservava le persone camminare lungo il viale adiacente la piazza, assenti, indaffarate ... le osservava da una finestra in legno, sotto un cielo color vaniglia, minacciato da nuvole di pioggia...

Era nella sua stanza, in un pomeriggio agli inizi di aprile. Erano seduti affianco sul letto di lei, dal Mac fuoriuscivano alcune note di un brano che interessava entrambi o, almeno, avrebbe dovuto farlo. Si guardavano, e la musica spiegava le loro emozioni ... "non vorrei che entrassi dentro di me" aveva detto lei, ma in realtà sapeva benissimo che lui poteva entrare dentro di lei, (lei voleva questo) ... "quello che sta accadendo ora, qui dentro, rimane un fatto isolato nel tempo, una bolla di sapone, un'ampolla con due pesci rossi dentro" disse lei, ed era la verità...

C'erano cose, frutto di azioni compiute in prima persona, dalle quali non ci si riprende più. Qualcosa doveva necessariamente morire dentro il petto, bruciarsi. Molto tempo dopo, l'aveva rivista. Le aveva parlato. Non c'era più pericolo nel farlo. Lui sapeva come per istinto che ora non aveva più alcun interesse per quello che lei faceva. Avrebbe potuto accordarsi per un secondo incontro, se uno di loro due l'avesse voluto. A dire il vero si erano incontrati per caso. Era successo nel parco, un'orribile e gelida mattina di febbraio, quando la terra pareva diventare di ferro e l'erba sembrava morta e nulla iniziava a fiorire, se non qualche croco che si era aperto un varco attraverso il suolo unicamente per essere devastato dal vento. Lui camminava in fetta, con le mani ghiacciate e gli occhi che gli lacrimavano, quando la vide, a meno di dieci metri da lui...

Si accorse subito che era cambiata, anche se non riusciva a cogliere il carattere di quel mutamento. Passarono l'uno davanti all'altra quasi senza far mostra di vedersi, poi lui si voltò e la seguì, ma senza provare alcun sentimento di ansia. Sapeva che non c'era più alcun pericolo, che nessuno avrebbe fatto caso a loro. Lei non parlò. Cominciò a camminare in senso obliquo sull'erba, come se volesse liberarsi di lui, poi sembrò rassegnarsi a che lui le camminasse a fianco. Dopo un po' si ritrovarono in una macchia di arbusti laceri e senza foglie, inutili sia a nasconderli che a proteggerli dal vento. Si fermarono. Faceva un freddo terribile. Il vento fischiava attraverso gli arbusti, agitando gli spauriti e luridi crochi. Lui le passò un braccio intorno alla vita. Non vi era musica, ma dovevano esserci delle note nascoste da qualche parte, inoltre, chiunque poteva vederli. Ma non aveva alcuna importanza, nulla aveva più importanza. Se avessero voluto, avrebbero potuto perfino stendersi per terra e fare l'amore. Soltanto a pensarci, la sua carne fu percorsa da un brivido. Lei non rispose minimamente alla stretta del suo braccio, ma neanche tentò di liberarsi. Ora vide che cosa era mutato in lei: il volto era pallido, ed era più magra. Ma non era questo il cambiamento più marcato. Era soprattutto il fatto che il suo essere si era "ammorbidito", come se fosse diventato un liquido che si adatta e si espande ... Si ricordò di una volta che improvvisamente la volle abbracciare con impeto ... si stupì della sua forza incredibile, ma anche dalla sua rigidità e dalla difficoltà che incontrava nel toccare la sua carne di pietra ... Pensò anche che il tessuto della sua pelle doveva ora essere ben diverso da quello che era stato un tempo. Non tentò di baciarla. Non si scambiarono una parola. Mentre tornavano indietro, sull'erba, lei lo guardò in faccia per la prima volta. Fu un'occhiata furtiva, colma di stupore e di vergogna. Lui si domandò se l'origine di questo imbarazzo fosse solo un effetto degli avvenimenti passati, se fosse causato anche dal suo viso ancora più vissuto e dalle lacrime che il vento continuava a spremergli dagli occhi...

Si sedettero su una giostrina per bambini, l'uno accanto all'altra, ma non troppo vicini. Lui si accorse che lei stava per parlare. La vide mentre allungava una goffa scarpa e calpestava e spezzava un rametto. Pareva che i piedi le si fossero fatti più grandi. "Ho tradito, ... lo so" disse lui. Gli rivolse un'altra occhiata piena di vergogna. "A volte" disse lei "la vita minaccia di farci delle cose... cose a cui non puoi resistere, cose che non vuoi neanche immaginare e allora dico "non voglio che accada a me, voglio che accada a qualcun'altra"... ... e dopo puoi anche pensare che il mio era solo un trucco per ingannare il mio ed il tuo cuore; fingo, ... ma non è vero. Quando succede ... il mio cuore si inebria, ... voglio salvarlo, ma non posso fare altro che cederlo alle tue volontà ... Abbiamo desiderato davvero quello che abbiamo fatto? Abbiamo badato solo a noi stessi ..." ... "solo a noi stessi" fece eco lui ... "dopo, i sentimenti verso noi, non sono più gli stessi"... "no" rispose lui, "non sono più gli stessi". A quanto pareva, non c'era altro da aggiungere. Il vento modellava i vestiti attorno ai loro corpi, quasi d'un tratto divenne inopportuno restare seduti lì, senza scambiarsi una parola. E poi, faceva troppo freddo per starsene immobili. Lei mormorò qualcosa, che aveva da fare, e si alzò ... "non ci dobbiamo più rivedere" disse lui ... "si" disse lei, "ci ritroveremo in un'altra vita, quando saremo entrambi gatti"...

Incerto, la seguì per un tratto di strada, tenendosi a mezzo passo da lei. Non parlarono più. Lei non fece alcun tentativo per sbarazzarsi di lui, ma camminava ad un'andatura sufficiente per impedirgli di portarsi al suo fianco. Lui aveva pensato di accompagnarla fino all'altro lato della piazza, ma a un tratto quel procedere l'uno dietro l'altra, nel freddo, gli sembrò inconcludente e insopportabile. Si sentì invadere dal desiderio non tanto di allontanarsi da lei, quanto di trovare un bar per ubriacarsi: ebbe una visione nostalgica, di un tavolo all'angolo, con il giornale e il gin versato senza risparmio ... aveva bisogno di tanfo e calore. Un attimo dopo, e non si trattò di un caso, lasciò che un gruppetto di persone si interponesse fra loro due. Fece un tiepido tentativo di guadagnare terreno, poi rallentò, si voltò indietro e si allontanò nella direzione opposta. Dopo aver percorso cinquanta metri si girò a guardare: la strada non era affollata, ma già non la vedeva più. Ognuna di quelle sagome che camminavano spedite, sarebbero potute essere lei. Si mischiò nella confusione calma, di un giorno qualunque, una molecola tra mille molecole, un innesto di un ingranaggio, una pietra di una recinzione, ... un puntino, nello spazio ... "quando succede" aveva detto lei, "si fa sempre sul serio", e lui aveva fatto realmente sul serio. Non si era limitato a dirlo, lo aveva desiderato, fortemente. Aveva immaginato un ragionamento, disegnato un quadro astratto o forse futurista, si era spinto, a braccetto con la mente ed il cuore ... in un pomeriggio di febbraio. Dopo, il silenzio.

In breve

Leggetelo ascoltando:

"Il viale"

-Racconto illustrato-

(con A.I. e tecnologie chatGPT4 DALL-E)

… sono seduto ad aspettare, accolto dal rosso liquido d’un cielo che straripa in strada ... mi chiedo se ci sia un modo per spazzolare via i residui di certi sogni insieme alla nostalgia: le cose che non ho e le cose che ho perso mi caratterizzano più nitidamente di quelle conquistate ... penso che la distanza non è quella dei chilometri messi sotto le scarpe, ma quella da percorrere per avvicinarmi a te ...

... quest’anno l’estate ha esteso il proprio abbraccio caldo ben oltre i naturali confini e alla metà di settembre non c’è alcuna differenza con una giornata di inizio agosto ... ma il corpo sa da subito quello che la mente capisce più tardi ... ha i suoi tempi, la mente, con l’intralcio di tutti i ma, i forse, i nonostante da elaborare ... e l’amore lo sa ... è un sortilegio, e noi siamo dei bambini stupidi che gettano in cantina il loro giocattolo migliore per la paura di usarlo e romperlo ... l’innamoramento è uno strappo, non una cucitura ... quelle sono per i sarti e per chi s’accontenta ... non si ama per convenienza, ma nonostante ... a un certo punto, le cose sull’orlo di un amore precipitano ...

... stavo notando che dopo una radura segue una sfilza di piccoli orti, fazzoletti ricamati a basilico e fatica … ed io cerco di contaminare la realtà con le storie ... ma il tempo prende decisioni al posto mio ... rumore di tacchi sul selciato, vociare di bambini che si pestano i piedi, risate di donne … vorrei quei getti di aria fredda che negli occhi diventano lacrime, e ogni lacrima è un ricordo che se ne va via … ogni lacrima si potrebbe portare via un’immagine di te ...

... sono ore dilatate, fuori dalle abitudini rassicuranti, fuori dai soliti giri di ruota da criceto ... le ore non sono tutte ubbidienti all’orologio: ce ne sono di anarchiche, riempite di cose all’inverosimile o lasciate stagnare in una notte di sonno impossibile, quando persino i muri della stanza sono malevoli, nella loro indifferenza liscia e senza appigli ...

… ma che ci faccio qui? perché così faccio io: ti vengo a cercare, per farti andar via … forse ... oggi ho deciso che per me niente televisioni o computer ... preferisco sedermi fuori, guardare i prati e le colline: albe, tramonti, temporali, alla fine, sono sempre stati i miei programmi preferiti ... ogni giorno leggo un quotidiano per le notizie del mondo, per quelle del paese mi basta il bar ...

... ho un ricordo di te in questo luogo, una delle prime volte che si usciva ... appena superata la frontiera dell’incertezza rispetto al sentire dell’altro, le parole si liberavano dalla patina di finta immobilità e prendevano la rincorsa ... spalancavo gli occhi per immagazzinare tutto quel giallo e quel blu sullo sfondo e i tuoi lineamenti intenta a osservare l'orizzonte ... provavo a fissare nella memoria i dettagli, a creare arazzi nella mente, approdi a cui avrei saputo fare ritorno nel tempo da passare lontani ... perché sempre mi torna in mente la frase di Cesare Pavese: "a che serve passare dei giorni se non si ricordano?" 

… la linea netta di cesura tra un campo giallo di stoppie e una striscia di zolle rivoltate ... sembrava che il mio cuore somigliasse alla terra, che aspetta l’aratro senza fare resistenza ... entrambi attendevamo la sera per stare concentrati l’uno sull’altra senza doveri e distrazioni di mezzo ... sentivo che tutto combaciava, che la distanza tra quello che c’era e quello che avrei voluto stava dentro due parole mancanti all’appello, due parole soltanto: "per sempre" ... “oggi il colore dei tuoi occhi è diverso”, ti dissi, ed era un giorno senza nuvole … “lo so, mi dicesti, cambiano con la luce” … “allora i tuoi occhi sono dell’umore del cielo” … ti accontentavi di camminarmi vicino e guardare le strade sbiancate e i riflessi dei lampioni giù a valle ... si sentiva l’odore della legna che già accendeva qualche camino e quello dei prati dopo l’imbrunire, che hanno un profumo che non somiglia a nient’altro ... ci fermammo in una radura, sopra una cima rotonda e ai nostri piedi un panorama surreale: alberi fitti, bagliori lontani di paesi, la sagoma remota e nerissima delle montagne ... avesti vergogna di guardarmi negli occhi quando mi dicesti “ho paura che ti amo” … e dentro quella frase sgrammaticata traspariva l’impeto e l’urgenza di dire ... io ti risposi, con la voce di uno che ha riso e poi pianto, “io non ho paura, perché ormai lo so che ti amo ... la paura l’ho lasciata indietro, tanto non serve tenersela addosso, ti pesa e nient’altro …

ho la memoria degli uccelli migratori … è molto più lunga di quella degli altri volatili, perché devono essere capaci di fare ritorno” …” e a questi giorni ti piacerà tornare?” … “difficile sarà farti partire” … e ora capisco cos’è il vero ingombro di un’assenza e che anche lo spazio, e non solo il tempo, cambia le cose e le persone.

Tra poco mi alzerò e mi incamminerò verso l’auto ... e vorrei ancora tenerti forte la mano per arginare il mio buio.

In breve:

Leggetelo ascoltando:

"Sulla collina"

-Racconto illustrato-

(con A.I. e tecnologie chatGPT4 DALL-E)

Quello che segue, è il foto-racconto ideato e scritto (a quattro mani) nei mesi di settembre-dicembre 2009, che ispirò già l'opera solo-piano "Sensitivity". Solo ultimamente, in occasione della nascita del progetto "Confluenze" si è, per così dire, riacuito l'interesse per questa storia sospesa tra dimensione onirica e situazioni surreali. Anche se il protagonista non è dissimile da tanti modelli di uomini resi soli dal destino, la presenza della giovane donna spezza la normalità del racconto orientandolo verso un'interpretazione più profonda della vicenda, tramite una simbologia sublimata nelle immagini create ad hoc con l'ausilio dellìintelligenza artificiale, tecnologie DALL-E. In questa visione, la giovane donna, potrebbe essere la proiezione di un ricordo del passato dell'uomo, un ritorno così limpido da avere connotazioni reali o potrebbe essere la chiave interpretativa dell'ingresso nella depressione profonda del protagonista, che lo porterà, alla fine del racconto, a tentare un tuffo ad alto coefficiente di rischio, consapevole di non saper carpiare.

La routine del lavoro, la stessa strada da percorrere ogni giorno, gli stessi orari a cui obbedire; in fatto di pendolarità, i suoi orari facevano del viaggio di andata e ritorno un’occasione per lasciare che la mente vagasse in un’unica direzione, per finire sempre nei luoghi oscuri del suo passato, dal quale non riusciva proprio a sottrarsi.

Perché lui era un uomo tormentato dal suo passato e cercava solo di mettere pace in sé stesso, qualunque cosa fosse il suo trascorso. Ogni sera, dopo il lavoro, si recava in una strada in collina a lui cara, dove aveva trascorso momenti felici da adolescente. Lasciare la strada trafficata, il lungo serpente di auto con i fari accesi nella sera e imboccare una stradina trasversale che l’avrebbe portato a destinazione lo stesso, ma percorrendo quelle ferite nella collina adiacente, che difficilmente si possono definire strade, gli dava ancora quell’emozione e quella frenesia che, da giovane, provava nel portarci le sue fiammelle per godere di un po’ di intimità. Parcheggiava a lato della stradina, scendeva dall’auto e camminava lungo il sentiero, respirando l’aria fresca della sera e guardando lo spettacolo offerto dal crepuscolo di un cielo reso terso da una giornata di Fenom, il vento tiepido delle Alpi. Abbracciato dai profumi portati dal vento, che faceva turbinare vecchie foglie secche sul sentiero, si sentiva più vicino a se stesso, più in armonia con il mondo.

Una sera di quelle, mentre camminava, vide una giovane donna seduta su una panchina. Era bellissima, con i capelli biondi e gli occhi grigi. Indossava un vestito bianco, che le donava un’aria angelica. Si avvicinò a lei, incuriosito. Le chiese chi fosse, cosa facesse lì, se avesse bisogno di qualcosa. Lei lo guardò con un sorriso dolce e triste e gli rispose che era lì per ammirare il paesaggio, che non aveva bisogno di niente. Poi gli chiese se voleva sedersi accanto a lei e fare due chiacchiere. Lui accettò, senza sapere perché.

Iniziarono a discorrere di tutto e di niente, come se si conoscessero da sempre. Si sentì subito a suo agio con lei, che gli sembrava una persona gentile e sensibile. A sua volta lei si mostrò interessata a lui, che le raccontò della sua vita, dei suoi problemi, dei suoi sogni. Si capirono al volo, si fecero delle confidenze, si fecero delle grasse risate. Si alzarono dalla panchina, si presero timidamente per mano, senza guardarsi negli occhi, in uno stato di confusione e timido impaccio, e continuarono a camminare insieme, mano nella mano. Lui si sentì felice come non lo era da tempo. Lei anche gli disse che era felice di averlo incontrato. Poi lo baciò sulla guancia e gli disse arrivederci. Lui le chiese se poteva rivederla il giorno dopo. Gli disse di sì, senza indugi, ma solo alla stessa ora e nello stesso posto. Accettò, senza capire perché. Ma non glielo chiese.

Il giorno dopo tornò alla strada in collina, sperando di ritrovarla. Teneva in serbo con sé il ricordo del bacio che gli diede il giorno prima, anche se in esso c’era qualcosa di surreale, una nota stonata in mezzo a tanta melodia che non riusciva a cogliere: al contatto delle labbra di lei sulla pelle della sua guancia, provò una strana sensazione di freddo, come un brivido proveniente dal profondo del suo corpo. La ritrovò, seduta sulla stessa panchina, con lo stesso vestito bianco, con lo stesso sorriso dolce e triste. La salutò con gioia e le si avvicinò. Ripresero a parlare come il giorno prima, come se non fosse passato tempo. Si raccontarono altre cose di loro, si scambiarono altri pensieri, si fecero altri complimenti. Si presero per mano e ripresero a camminare insieme, baciandosi ogni tanto. Lui si sentì innamorato come non lo era mai stato. Lei anche gli disse che provava qualcosa del genere, ma che non potevano stare insieme. Le chiese perché no, cosa gli impediva di essere felici. La giovane donna gli disse che lui non avrebbe capito, che era troppo complicato da spiegare, che era meglio così. Poi lo abbracciò forte e gli disse addio. Lui le chiese se poteva rivederla il giorno dopo. Lei gli disse di si, ma solo un’altra volta ancora e nello stesso posto. Accettò, senza volerlo credere

L’ultima volta che la vide fu una sera di pioggia. La trovò sulla stessa panchina, ma questa volta era bagnata fradicia e tremava dal freddo. Lui scese dall’auto, le corse incontro e le mise il suo giubbotto sulle spalle. Le chiese cosa le fosse successo, perché fosse così pallida e triste. Gli disse che era arrivato il momento di dirgli la verità, anche se gli avrebbe fatto male. Gli disse che lei non era una donna vera, che in quel corpo non c’era vita. Lei era il fantasma di una ragazza suicida per amore in un passato lontano. Gli disse che lui era l’unico che poteva vederla e sentirla, perché aveva una sensibilità speciale, per quanto lui non ne fosse minimamente consapevole e che, per quanto difficile da comprendere e accettare, esistono cose che ci vivono intorno, ma non possiamo percepirle. Con lo sguardo che aveva abbandonato l’aspetto dolce a favore della piega triste che lo contraddistingueva fino al giorno prima, e lo rendeva unico, gli disse che lo amava davvero, ma che doveva lasciarlo andare. Lui rimase senza parole, incredulo e sconvolto. Le chiese come fosse possibile, come potesse essere vero, come potesse accettarlo, come avrebbe fatto senza la sua presenza, ora che aveva trovato chi avrebbe salvato la sua vita. Lei gli rispose che non c’era niente da capire, che era solo un destino crudele, che doveva rassegnarsi. Poi lo baciò per l’ultima volta e gli disse addio. Con la voce già spezzata dal pianto, le chiese se poteva rivederla ancora, anche solo per un minuto. Ma lei, fermamente, gli disse di no, che sarebbe stato possibile solo nel suo cuore e nei suoi ricordi. Lui si rifiutò di accettare, senza volerla perdere.

Ma era troppo tardi. Il suo corpo diventò via via più etereo e, infine, svanì davanti ai suoi occhi, come una bolla di sapone. Rimase solo, con il suo giubbotto bagnato e il suo amore impossibile. Pianse disperatamente, gridando il suo nome. Ma nessuno lo sentì, nessuno lo capì, nessuno lo aiutò.

Passò qualche settimana. Cercò di evitare quel luogo. Cercò di impegnarsi in qualsiasi attività potesse distoglierlo dal pensare a quanto accaduto, ma in ogni istante gli sembrava di averla accanto, ovunque fosse, qualunque cosa stesse facendo e quella condizione, anziché rincuorarlo, amplificò il bisogno di poterla riavere, anche solo per un misero istante. Si rivolse a Dio ogni giorno, specialmente la sera,  supplicandolo di mostrargli la strada da percorrere per poterla raggiungere e venne esaudito il suo desiderio: fu più semplice di quanto avesse immaginato. Una sera, dopo il lavoro, si diresse verso la strada in cui, su una panchina, aveva incontrato lei per la prima volta, come se lo stesse aspettando. L’asfalto sfrecciava sotto le ruote, fino a finire per lasciare il posto ai ciotoli del sentiero a lui caro.

Illuminata dai fari dell’auto poteva intravedere la panchina avvicinarsi ai suoi occhi, senza lei seduta ad aspettare.  Per liberarsi al più presto della profonda tristezza e del profondo senso di abbandono e di vuoto interiore che gli procurava il confronto con l’amara realtà, accelerò d’istinto e girò il volante verso la scarpata affianco al sentiero. Si girò un istante verso il sedile del passeggero e lei era lì, affianco a lui, con lo stesso sguardo dolce e triste che gli scoppiava nel cuore. Lei gli tese la mano, mentre il mondo rotolava fuori dai finestrini che si infrangevano in mille frammenti impazziti e luminosi come stelle, in un frastuono assordante. Anche lui le sorrise e le porse la mano. Un istante che parve infinito gli permise di scambiarsi quella frase tanto agognata nelle ultime settimane della sua triste esistenza - Ti amo! - Anche io ti amo! - Per sempre! - Si, per sempre. - Poi il buio e il silenzio avvolsero i rottami in un silenzio irreale.

Lo trovò il giorno dopo un contadino che, col trattore, stava andando a lavorare nei suoi campi più a valle. Era ancora seduto alla guida della sua auto, aveva gli occhi chiusi e un sorriso così beato che sembrava dormisse e stesse facendo un bel sogno, nella mano sinistra serrava un lembo di tessuto bianco, che non si capì mai da dove potesse averlo strappato durante il ribaltamento dell’auto.

In quei luoghi si racconta che nelle sere di vento, appena dopo il tramonto, si possono sentire i passi ben distinti di due persone che camminano sulla ghiaia del sentiero e le voci di un uomo e una più cristallina di una donna rideree parlottare sottovoce dicendo cose incomprensibili. Qualcun altro addirittura racconta di aver intravisto per pochi istanti due sagome sfumate muoversi sul sentiero in prossimità della panchina, che ancora oggi è lì. Ma i fantasmi non esistono. O forse si?

In breve:

La discarica delle favole

Non si può insegnare, lo riconosci subito quando sei dentro una favola, le cose prendono una forma diversa da quella di sempre, da quella normale, ma anche dall'eccezionale. I gabbiani per esempio; non fa impressione vederli così distanti dal mare, magari stupisce guardarli mentre volano così lontano dalla discarica.

La discarica delle favole, quella grande con la sagoma di una piramide maya, chissà perché gli danno quella forma, chissà se ci fanno dei sacrifici umani, là in cima appena nascondono il tesoro dentro la spazzatura e spengono i camion prima di scrivere sulla mappa. I gabbiani giocano, volano controcorrente per due chilometri buoni, si tuffano dentro l'acqua nella curva del fiume nel punto che sembra proprio un gomito, ma un gomito umano con le grinze fatte dalla corrente, uguali alle nostre.

Il fiume delle fiabe è in piena in questi giorni, trascina gli uccelli velocemente fin sotto il ponte declassato; dopo la piena assomiglia ad un reggipetto vecchio, di quelli a cui le donne si affezionano e continuano a portare nonostante abbiano preso due misure in più. Ci sono novelle dove le principesse portano solo la coppa J, non in questa.

Il bello dei gabbiani è che non li distingui: maschi e femmine sono tutti uguali, stesso colore, stesse dimensioni, stesse voglie, stessi sogni, stessi giochi. Non puoi dargli un nome finché non sai cosa pensano della storia; non è permesso. I gabbiani pensano e ridono mentre filano sulla corrente, forse cantano, si inventano le parole in un inglese apparente. In questa favola gli uomini hanno un nome di donna tatuato sul fianco come i pescherecci.

La pioggia delle favole fa fare sogni strani, al confine con gli incubi, i sogni stanno dalla nostra parte vorrebbero invadere, attaccare per primi, ma rimangono sulla frontiera come si rimane a guardare il tramonto da una terrazza di fronte al mare. C'è da fidarsi dei gabbiani, almeno dentro questa storia, con loro c'è sempre un lieto fine in agguato e non capiterà quando finisce tutto, ci sarà un lieto fine prima della metà, un altro quando la principessa si spoglia e all'ultimo, quando nessuno ci crede più.

In questa favola gli uomini si tengono i sogni piccoli e buttano via quelli giganteschi, non fanno come le barche col pescato, si tengono i fuori misura e nemmeno questo si può insegnare.

Dentro questa fiaba non si pescano pesci magici per rispetto. In questa storia non ci sono reti, tutti possono essere presi, ma nessuno viene catturato, ci sono un paio di curve a gomito con le grinze, una principessa senza poppe, un ponte declassato per far passare un solo sguardo alla volta, tre lieto fine di quelli veri di cui due senza baci che risvegliano.

Dentro questa favola siamo sempre tutti svegli. Gli occhi si chiudono in volo. I gabbiani di quassù non li distingui tra loro, non sai come la pensano, abbiamo appena aperto corsi di inglese apparente, ma se sbagli una pronuncia la storia finisce. 

Avete salvato l'ultimo lieto fine?

Scarpette rosse

Il caffè,

una maglietta a righe,

il tuo numero su un biglietto,

in una tasca di jeans,

in un cassetto,

una valigia verde,

un altro caffè,

un altro numero,

un aperitivo,

una cravatta,

un bacio,

una pizza,

una paura,

un silenzio,

un messaggio,

una telefonata di lavoro il giorno degli innamorati,

ignorarsi,

incontrarsi,

rivalutarsi,

trattenersi in una festa,

un drink,

un abitacolo sudato,

le chiavi di casa mia,

quelle di casa tua,

i segreti,

i segnali,

le carezze,

le coperte,

la birra artigianale,

il trapano e il martello,

cenare da Michele,

un telefono,

un libro,

un bracciale,

due orecchini,

il giorno di Natale,

Sanremo,

le tue foto da ragazza,

la valigia verde,

un’isola,

una crema al profumo di cocco,

una folata di sbagli e noi superstiti,

una battaglia e una falange in due,

il mio pugno chiuso e i tuoi capelli dentro,

carnevale e le maschere,

il nostro primo daccapo,

mille lumi di candela e tu che come fiamma tremi e bruci,

mentre la strada che sapevi che avrei preso mi si srotola davanti come un tappeto rosso.

E vado via.

Ma per restare.